Cambridge Analytica e contagio emotivo: ecco cosa succede! 0


Esiste nell’uomo un impulso a valutare le proprie opinioni;

quando non sono disponibili strumenti oggettivi non-sociali, gli individui valutano le proprie opinioni tramite il confronto con gli altri;

maggiore è la rilevanza di un’opinione ai fini del comportamento, maggiore sarà la pressione volta a ridurre le discrepanze

          (Festinger, 1958- La teoria del confronto sociale)

Negli ultimi due giorni abbiamo assistito e stiamo tuttora assistendo al “presunto scandalo” di Cambridge  Analytica.

Si tratta di una società che ha seguito Trump nella sua campagna elettorale mettendogli a disposizione i dati di 50 milioni di utenti che abitano su Facebook.

La contingenza dello scandalo è effettiva solo nella misura in cui i giornali possono usarlo per creare scalpore, vendersi… alimentando una bolla informativa inutile.

Proviamo a metterci nei panni dei milioni di persone che non rivestono il ruolo di comunicatore, di social media manager o di giornalista.

Una notizia del genere risuonerebbe nelle loro orecchie come un affare losco concluso a discapito dei cittadini. Non avrebbero tutti i torti, ma bisogna arginare il fiume di straripante meraviglia che bagna le sponde di questa vicenda.

Perchè?

Perché non può suonare come una notizia nuova di zecca una cosa nota già da anni. Infatti, l’anno scorso wired in un articolo, descrivendo l’iniziativa del Kaspersky Lab, esordiva cosi :

C’è un negozio che non accetta nessuna valuta o criptovaluta. Qui, potrete pagare solo cedendo i vostri dati personali. The Data Dollar Store è un negozio decisamente fuori dal comune, che ha aperto questa settimana nel cuore di Londra.

La reazione rispetto alla vicenda è giusta, ma da ipocriti poiché come scrive Mario Sechi su newslist.it

“Chiunque abbia a che fare con il mondo digitale e la raccolta di big data sa benissimo che siamo di fronte non all’eccezione ma alla regola.”

Ogni giorno, acconsentendo al trattamento dei dati personali per iscriversi ad una newsletter, con l’iscrizione ad un sito o ad una app vendiamo una parte di noi stessi. Chi ne è consapevole decide di ignorarlo, chi non è a conoscenza dovrebbe ben tenere a mente che “Se non paghi il prodotto sei tu“.

I Big Data sono il nuovo petrolio, il pane quotidiano di aziende per le quali diventiamo un segmento, un target, il bersaglio dei loro sogni e se pensiamo che la politica possa prendere derive contrastanti ci sbagliamo.

Quale migliore modo se non raccontarvi un aneddoto.

Come ognuno di voi nella propria vita, anche io ho affrontato innumerevoli colloqui di lavoro. Appassionata di comunicazione e affascinata dall’applicazione pratica delle teorie sociologiche e psicologiche al marketing, ho sempre trovato affine ai miei interessi comunicare in ambito politico- istituzionale.

Non per questo ho mai escluso quello aziendale, che allo stesso modo offre grandi spunti di riflessione e stimoli intellettuali.

Ho trovato nei recruiter, tuttavia, una ristrettezza di visione nel presupporre che i due ambiti siano differenti. Al contrario ritengo che, sebbene la forma cambi, il contenuto e le dinamiche comunicative rimangano le stesse. 

È per questo che si parla di Marketing politico o elettorale.

Quando noi comunicatori politici siamo chiamati per la stesura di un discorso o di un comunicato stampa, di un piano di comunicazione o di una social media strategy non facciamo altro che applicare i principi del marketing alla comunicazione politica plasmando come l’argilla: dati, trend, thread di conversazioni ed emozioni.

Le emozioni sono uno strumento, un buon comunicatore deve annoverare tra le proprie qualità l’empatia per comprendere la società e prevederne le evoluzioni possibili.

Il contagio emotivo e la pressione sociale

Al progresso non si può porre rimedio e non esisterebbe progresso se non ci fossero carnefici e vittime.

In contemporanea con lo scandalo Cambridge Analytica ritornano a galla vecchi esperimenti condotti all’insaputa degli utenti di Facebook, due tra i più significativi:

Il primo venne pubblicato su Nature, condotto Il 2 novembre 2012, in occasione delle elezioni del congresso degli Stati Uniti e ha visto coinvolti tutti gli utenti di Facebook, degli USA, sopra i 18 anni per un totale di 61 milioni.

Lo studio prevedeva la suddivisione in tre gruppi del campione:

1° gruppo-  circa 611 mila utenti (l’1%), ha ricevuto un “messaggio informativo” in cima al loro news feed, che li incoraggiava ad andare a votare comunicando alcune informazioni sui seggi locali; era inoltre presente un pulsante “I voted” (ho votato), e un contatore che indicava quanti utenti avevano premuto quel pulsante.

2° gruppo- il più numeroso, che era composto da oltre 60 milioni di utenti (il 98%), ha ricevuto un “messaggio sociale”, in altre parole un messaggio che oltre a contenere tutti gli elementi presenti nel “messaggio informativo” (mandato al primo gruppo), mostrava anche le immagini di sei amici, selezionati in modo casuale, che avevano premuto il pulsante “I voted”.

3° gruppo- costituito dal restante 1%, non ha ricevuto nessun messaggio.

Il risultato? un aumento di persone che si sono recate a votare- circa 340 mila votanti in più- spinte, da un lato, dal “messaggio informativo”, dall’altro influenzate dal comportamento dei propri amici. Fonte 

Il secondo studio condotto da Facebook riguarda il contagio emotivo e venne pubblicato sulla rivista rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America).

In questo caso, gli utenti coinvolti erano oltre 600 mila e consisteva nell’alterazione del tono dei post, in modo da evidenziare i messaggi positivi o negativi mandati agli/dagli amici. Sono poi state monitorate le risposte degli amici per vedere l’impatto che la notizia aveva avuto sul loro atteggiamento.

All’aumento delle espressioni positive, le persone hanno prodotto più post positivi, mentre ad un aumento di quelle negative son aumentati i post negativi. Le emozioni all’interno della rete, dei social network dilagano e ci contagiano.

La domanda  che dobbiamo porci a questo punto è: l’inaugurazione del nuovo algoritmo di Facebook quanto radicalizza questo fenomeno?

Il nuovo algoritmo di Facebook privilegia i contenuti di amici e parenti, penalizzando quelli di marchi, aziende, media. Ma a metterci in guardia, prevedendo gli esiti negativi di tale modifica, è stato Mike Isaac sul New York Times affermando che:

il rischio è che privilegiare i contenuti di amici e parenti potrebbe portare nelle bacheche sempre lo stesso genere di contenuti, in linea con le proprie idee. Questo significa non esporre gli utenti a posizioni di segno opposto e dare minori possibilità di individuare eventuali notizie false o semplicemente far riflettere in maniera critica. Fonte

 

L’influenza emotiva e la pressione sociale vanno di pari passo. Ogni gruppo è regolato da un sistema normativo che struttura la realtà, definisce il rapporto con l’ambiente sociale e delinea il confine del gruppo.

Gli utenti interpretano e vengono influenzati dagli stimoli provenienti dall’habitat virtuale in cui si evolvono e sono portati ad una convergenza di pensieri, sentimenti e comportamenti.

Le opportunità di sperimentazione e di manipolazione che il quadro- cosi delineato- offre sono molte, forse troppe e l’unico modo per garantire maggiore protezione ai cittadini è strutturare una normativa in grado di porre un freno allo strapotere dei Social Giant come Facebook.

 

 

 


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