Social Network e Comunicazione politica ai tempi del Coronavirus 0


Social Network e Comunicazione politica ai tempi del Coronavirus

tratto da Sociologicamente.it a firma di Carmen Pupo.

In queste difficili settimane abbiamo sperimentato  ancora di più quello che sembra essere un cambio di rotta nel dibattito politico e più in generale di quello istituzionale che grazie ai social network e ai social media affiancano una comunicazione diretta coi cittadini ad una comunicazione “in diretta”.
L’apparente vantaggio di questa nuova connotazione che annienta i tradizionali i vincoli a cui era sottoposta l’informazione e la mette a portata di mano dei cittadini, svuota e svilisce il senso della professione giornalistica, la quale, più che aiutare gli “spettatori” ad analizzare criticamente quando accade, si limita a riportare, più o meno fedelmente, i provvedimenti che saranno adottati. O tutt’al più di diffondere notizie clickbait, senza alcuna conferma scientifica, obbligando lo Stato a intervenire istituendo una task force per contrastare la diffusione delle fake news.

Breve cronistoria dei provvedimenti

Agli internauti non resta che l’arduo compito di umanizzare, anche in chiave ironica, la figura del Presidente del Consiglio che, puntualmente, diviene oggetto di meme e immagini umoristiche. Perché la comunicazione politica negli anni ci ha abituati a temere il ridicolo: Berlusconi, Renzi e in ultimo Salvini, hanno abbassato le nostre aspettative. Ci hanno illusi che in un certo senso l’eleganza e uno stile comunicativo che non si appella alla pietas del popolo, basti a farci sentire al sicuro.
“Andrà tutto bene”, ci dicono. Sì, ma quando? E soprattutto come? “Lo Stato c’è, tuona Conte. Si parte con un primo bonus da 600 euro che basta a mettere in crisi i server dell’INPS (non c’era da aspettarselo?) mentre i micro-imprenditori (che in Italia rappresentano il 95 % del totale) e le realtà locali vedono svanire i sacrifici di una vita.

Non sappiamo cosa si farà ma dando uno sguardo a ciò che si è fatto, le acque diventano ancora più torbide.

A Febbraio Burioni dichiarava che in Italia il rischio contagio fosse dello 0%, l’unico virus da curare era, secondo lui, il razzismo. Una bandiera che è presto diventata comoda coperta per movimenti, partiti e sindaci di sinistra che sottovalutavano i rischi, ma anche dalla destra che ha fatto propaganda della necessità di adottare provvedimenti urgenti.

Chi sapeva e senz’altro poteva fare di più è senz’altro l’OMS, la quale, già a settembre pubblicava un documento sul rischio del diffondersi di un nuovo virus che avrebbe potuto causare una pandemia globale, eppure la sospensione del Patto di Schengen che garantisce la libera circolazione dei cittadini tra stati firmatari, è avvenuta solo nel 17 Marzo, con la conseguente chiusura delle frontiere alle persone provenienti da paesi extracomunitari.

Ciò che appare evidente è che queste misure volte a limitare la diffusione del contagio abbiano poco a che fare col razzismo  e viene da chiedersi se il ritardo nella sua adozione, resa esecutiva solo con la proclamazione della pandemia dell’OMS, non sia dovuta ad una maggiore preoccupazione rispetto alle conseguenze economiche di un simile provvedimento.

Dall’evoluzione dei mass-media alla personalizzazione della politica

I social network  hanno contribuito a quella che molte ricerche hanno definito personalizzazione della politica, un fenomeno che però necessita di essere collocato in un quadro più ampio che ha a che fare con l’evoluzione del rapporto tra media, cittadini e politica.

Per tali motivi, l’intento di questa nostra riflessione è di comprendere le ragioni culturali, sociali ed economiche che stanno dietro alle scelte comunicative della classe politica. Ricorreremo ad alcuni tra i principali riferimenti teorici sul tema per superare dietrologie, persecuzioni e complottismi che animano il dibattito pubblico.

Anzitutto l’ampliarsi dell’offerta televisiva e l’alternarsi di programmi di intrattenimento e di informazione comporta l’affermazione di pubblici di nicchia che rendono sempre più obsoleta l’immagine di un pubblico generalista, un’audience di massa. Queste nicchie tendono ad una polarizzazione delle loro posizioni e idee in virtù di quelli che Cass Sustein ha definito “echo chambers” ovvero ambienti mediali nei quali si viene a contatto con opinioni non molto dissimili dalle proprie grazie ad un processo di auto-selezione di argomenti sulla base delle proprie attitudini e preferenze.

Secondo Markus Prior la presenza di un ambiente mediatico caratterizzato da un’ampia scelta di contenuti può essere letta come una delle principali variabili indipendenti per comprendere il rapporto tra politica e cittadini. Prior infatti sottolinea come fino agli inizi degli anni ’80, le persone che non intendevano informarsi di politica, lo facevano comunque, perché non riuscivano a trovare contenuti corrispondenti alle proprie preferenze.

La politica si è quindi evoluta in virtù della necessità di coinvolgere non solo i  political junkes, ovvero coloro che leggono i quotidiani, seguono programmi di approfondimento politico e sui social seguono politici di ogni fazione, ma anche e soprattutto una fetta consistente di potenziale elettorato per il quale la politica non rappresenta una priorità. La conseguenza  è l’esposizione a notizie politiche anche in ambiti che prima sembravano estranei alla politica (riviste di gossip, sport, reality).

Uno dei primi studiosi che si è occupato della personalizzazione della politica è stato Fabbrini, secondo il quale la centralità che hanno assunto i leader dipende da e conseguente perdita della centralità degli stati nazione e dei parlamentari, sempre più secondari ai capi di governo e soggetti sovranazionali, incapacità dei partiti di rappresentare porzioni di elettorato distinte e contrapposte).

Mauro Calise invece teorizza l’avvento di un “partito personale” nel quale il leader è condizione necessaria per la sua esistenza che non si basa più su una rigida organizzazione, su sistemi normativi e una appartenenza ideologica, ma il ruolo di collante è svolto da interessi particolari e sollecitazioni emotive.

Ilvo Diamanti imputa questo processo all’indebolimento delle identità collettive e alla centralità assunta dal rapporto diretto tra leader ed elettori con i partiti che si leaderizzano. Questo nuovo tipo di relazione sviluppatasi con la televisione e l’applicazione del marketing alla politica ha trovato un ulteriore slancio nelle piattaforme dei social dove i politici comunicano direttamente con gli elettori attraverso le loro pagine. La personalizzazione è il tratto fondamentale per comprendere le caratteristiche della comunicazione politica odierna.

Un recente studio condotto da Diego Ceccobelli che ha come unità di analisi le pagine di alcuni dei più influenti leader politici a livello mondiale ha evidenziato la tendenza della politica a popolarizzarsi. Ovvero l’adozione di strategie comunicative  che  impediscano ai politici di essere cancellati dalle diete mediali dei cittadini: la lifestyle politics, la celebrity politics e l’intimate politics.

La prima strategia si riferisce alla condivisione di fatti e momenti inerenti alla sfera privata e si basa sulla necessità di mettere in evidenza che il politico è un cittadino comune, vicino al popolo; con la seconda il  leader ibridando la sua persona con gli attori e gli ambienti mediali delle celebrità, vuole comunicare eccezionalità nonché il suo essere un attore politico speciale, con doti straordinarie  e che come tale  merita di ricoprire una posizione di leadership, la terza si riferisce alla progressiva divulgazione della vita privata al fine di costruire un rapporto di fiducia con l’elettorato.

Questi studi sono corroborati da infiniti esempi che pur nella loro immaterialità, possono essere toccati con mano ogni giorno: provvedimenti comunicati nella forma breve di un tweet, foto di politici accanto alle celebrità o di esponenti di partito che fanno la spesa e così via.

Video Meme su Vincenzo De Luca

Quello che lasceremo al domani

Una riflessione sulla società in un periodo come questo, impone di non schierarsi, ma di ripensare al ruolo delle tecnologie quale vero collante sociale (nel lavoro, nell’istruzione, nella gestione e nel mantenimento dei legami affettivi) e della comunicazione politica e istituzionale che più che diretta o in diretta, deve essere chiara.

La fiducia non si costruisce coi meme su Facebook ma con l’impegno effettivo che quando torneremo ad abbracciarci davvero, potremo farlo senza che il peso di questo periodo che ci lasciamo alle spalle abbia il sapore amaro dell’ennesima tragedia umana da consegnare ai posteri.


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