Come la narrativa distopica può incitare al radicalismo nel mondo reale 0

narrativa distopica

Gli esseri umani sono creature narrative; le storie che raccontiamo hanno profonde implicazioni su come percepiamo il nostro ruolo nel mondo e tra queste storie la narrativa distopica continua a crescere in popolarità.

Secondo Goodreads.com, una community online che è cresciuta fino a 90 milioni di lettori, nel 2012 la percentuale di libri classificati come “distopici” è stata la più alta da oltre 50 anni. Il boom sembra essere iniziato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. La percentuale di racconti distopici è salita alle stelle nel 2010 quando gli editori si sono precipitati a sfruttare e, quindi, trarre profitto dal successo dei romanzi di Hunger Games (2008-2010), la trilogia avvincente di Suzanne Collins su una società totalitaria “tra le rovine di un luogo un tempo conosciuto come Nord America”. Cosa possiamo dedurre dalla grande popolarità della narrativa distopica?

Grandi quantità di inchiostro sono state versate analizzando il motivo per cui queste narrazioni sono così attraenti. Ma un’altra domanda importante è: e quindi? È possibile che la finzione distopica influisca sulla politica del mondo reale? E se così fosse, in che modo? E quanto dovremmo preoccuparci del suo impatto? Nella nostra ricerca, abbiamo deciso di rispondere a queste domande servendoci di una serie di esperimenti.

Prima di iniziare, sapevamo che molti politologi, probabilmente, sono scettici al riguardo. Dopotutto, sembra improbabile che la finzione – ovvero qualcosa di “inventato” – possa essere in grado di influenzare le visioni del mondo reale degli uomini. Tuttavia, un corpus crescente di ricerche dimostra che nel cervello umano non esiste un “netto interruttore” che alterni finzione e realtà. Le persone spesso fanno proprie lezioni tratte da storie immaginarie inglobandole nelle proprie credenze, atteggiamenti e giudizi di valore, ed a volte questo accade senza la piena consapevolezza.

Inoltre, molto probabilmente la narrativa distopica è particolarmente potente per via della sua intrinseca natura politica. Qui vogliamo porre l’attenzione sul genere totalitario-distopico, che ritrae un mondo alternativo oscuro e inquietante nel quale entità potenti agiscono per opprimere e controllare i cittadini, violando i valori fondamentali come fosse una prassi normale. (Mentre le narrazioni post-apocalittiche, comprese quelle sugli zombies, possono anche essere considerate “distopiche”, l’impostazione standard è politicamente molto diversa, infatti, queste enfatizzano il caos ed il crollo dell’ordine sociale, quindi con molta probabilità influenzeranno le menti in maniera diversa.)

Certamente, le storie distopico-totalitare sono diverse tra loro, per fare alcuni esempi famosi, sono presenti torture e funzioni di sorveglianza in 1984 di George Orwell (1949); espianto di organi nella serie Unwind (2007-) di Neal Shusterman; chirurgia plastica obbligatoria nella serie Uglies (2005-7) di Scott Westerfeld; controllo mentale in The Giver (1993) di Lois Lowry; disuguaglianza di genere in The Handmaid’s Tale (1985) di Margaret Atwood; matrimoni combinati dal governo nella trilogia Matched (2010-12) di Ally Condie; e disastro ambientale nella serie Maze Runner (2009-16) di James Dashner. Nonostante queste differenze , tutte queste narrazioni si conformano alle convenzioni di genere, soggetto, ambientazione e trama. Come osservato da Carrie Hintz e Elaine Ostry, redattori di Utopian and Dystopian Writing for Young Children and Adults (2003), in queste società “gli ideali di progresso vanno tragicamente fuori controllo”.

Nonostante ci siano sporatiche eccezioni, in genere la narrativa distopica valorizza la ribellione drammatica e spesso violenta di pochi coraggiosi. Per testare l’impatto della narrativa distopica sulle opinini politiche, abbiamo assegnato in modo casuale a tre gruppi di persone dei soggetti narrativo- cinematografici presi da un campione americano del genere in questione. Il primo gruppo ha letto un estratto di The Hunger Games e poi ha visto il film frutto dell’adattamento cinematografico del 2012. Il secondo gruppo ha seguito la stessa procedura, fruendo però di una diversa serie distopica – Divergent di Veronica Roth (2011-18), quest’ultima caratterizzata da un’America futuristica in cui la società si è divisa in fazioni che aderiscono a diversi valori; coloro che posseggono abilità trasversali vengono percepiti come una minaccia.

Nel terzo gruppo – il gruppo di controllo no-media – i soggetti non sono stati esposti ad alcuna narrazione distopica prima di essere sottoposti alle domande riguardo le loro opinioni politiche e sociali. Quello che è emerso stato sorprendente. Anche se erano immaginare, le narrazioni distopiche hanno influenzato i soggetti in modo profondo, ricalibrando le loro bussole morali. Rispetto al gruppo di controllo no-media, i soggetti esposti alla narrazione distopica avevano una probabilità di più 8 punti percentuale di affermare che atti radicali come la protesta violenta e la ribellione armata potevano essere giustificabili. Quest’ultimi hanno anche convenuto in maniera più decisa che talvolta la violenza è necessaria per ottenere giustizia (ancora una volta, un aumento di circa 8 punti percentuale). Come mai la narrativa distopica potrebbe generare questi effetti sorprendenti? Probabilmente viene innescato un meccanismo semplice, le scene d’azione violente potrebbero aver facilmente scatenato un eccitamento che ha reso i nostri soggetti più disposti a giustificare la violenza politica. I videogiochi violenti, ad esempio, possono intensificare i modelli cognitivi aggressivi e la narrativa distopica spesso contiene immagini violente con ribelli che combattono contro i poteri istituiti.

Per verificare questa ipotesi, abbiamo condotto un secondo esperimento, ancora con tre gruppi, questa volta su un campione di studenti universitari di diverse aree degli Stati Uniti. Il primo gruppo è stato esposto a The Hunger Games e, come in precedenza, abbiamo incluso un secondo gruppo di controllo no- media. Il terzo gruppo, invece, è stato esposto a scene violente tratte dalla saga cinematografica Fast and Furious (2001-), simili per lunghezza e tipologia di violenza a quelle di Hunger Games.

Ancora una volta, la narrativa distopica ha modellato i giudizi etici dei soggetti., nello specifico ha accresciuto la loro inclinazione a giustificare un’azione politica radicale se paragonata a quella riscontrata nei del gruppo di controllo no-media, e l’incremento è stato simile per entità quello riscontrato nel primo esperimento.

Diversamente, le scene d’azione altrettanto violente e adrenaliniche di Fast and Furious non hanno provocato tale effetto, dunque, le sole immagini di violenza non riuscivano a spiegare i nostri risultati. Il nostro terzo esperimento ha indagato se l’ingrediente chiave fosse la narrazione stessa – cioè la storia di cittadini coraggiosi che si battevano contro un governo ingiusto, indipendentemente dal fatto questa sia fittizia o meno. Quindi, questa volta, il nostro terzo gruppo ha letto e guardato segmenti di media riguardanti una protesta, avvenuta nel mondo reale, contro le pratiche corrotte del governo thailandese. Le immagini della CNN, della BBC e di altre fonti di informazione mostravano le forze dell’ordine in tenuta antisommossa che usano strategie violente come gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per reprimere le masse di cittadini che protestano contro l’ingiustizia.

Nonostante fossero reali, queste immagini hanno avuto scarso effetto sui soggetti presi in esame. Quelli del terzo gruppo non erano più inclini a giustificare la violenza politica dei facenti parte del gruppo di controllo no-media. Invece, i soggetti esposti alla narrativa distopica di Hunger Games erano significativamente più disposti a considerare legittime le azioni violente e radicali rispetto a quelli esposti alla cronaca del mondo reale. (La differenza era di circa 7-8 punti percentuali, paragonabile ai due precedenti esperimenti.) Complessivamente, quindi, sembra che gli esseri umani potrebbero essere più inclini a trarre “lezioni di vita politica” da una narrazione su un mondo politico immaginario che da servizi giornalistici riguardanti il mondo reale.

Ciò significa che la narrativa distopica sia una minaccia per la democrazia e la stabilità politica? Non necessariamente, anche se il fatto che a volte venga censurata ci suggerisce che alcuni leader pensano il rischio ci sia. Ad esempio, La fattoria degli animali di Orwell (1945) è ancora vietato in Corea del Nord e, anche negli Stati Uniti, nell’ultimo decennio, tra i primi 10 libri più frequentemente destinati ad essere rimossi dalle biblioteche scolastiche sono presenti The Hunger Games e Brave New World di Aldous Huxley

(1931 ). Le narrazioni distopiche ci insegnano che un’azione politica radicale può essere una risposta legittima all’ingiustizia percepita. Tuttavia, le lezioni che apprendiamo dai media, sia che si tratti di narrativa o di eventi reali, potrebbero non sempre attecchire e, anche quando lo fanno, le persone non necessariamente agiscono conformamente ad esse.

La narrativa distopica continua a offrire una potente lente attraverso la quale gli uomini osservano l’etica della politica e del potere. Tali narrative potrebbero avere un effetto positivo nel mantenere i cittadini attenti alla possibilità di ingiustizia nei diversi contesti, che vanno dai cambiamenti climatici e dall’intelligenza artificiale alle rinascite autoritarie in tutto il mondo. D’altro canto, una proliferazione di narrazioni distopiche potrebbe anche incoraggiare prospettive radicali e manichee che semplificherebbero eccessivamente i principi reali e complessi di dissenso politico. Quindi, mentre la crescente popolarità del genere narrativo-distopico potrebbe nutrire il ruolo di “vigilante” (“watchdog”) della società nel chiedere al potere l’esercizio dei propri doveri, può anche mettere in guardia su un’eventuale retorica politica violenta – o addirittura azioni violente – in contrapposizione al dibattito civile, basato sui fatti e all’equilibrio di cui la democrazia ha bisogno per poter prosperare.

(Calvert Jones, Celia Paris, edited by Sam Dresser) Traduzione di Leonardo Antista
Fonte su Aeon.co


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